Timidamente splash!

Il primo giorno è di totale relax. Non abbiamo uscite ed escursioni in programma. Possiamo godere dei servizi dell’hotel incluso un trattamento benessere presso l’Arawak Spa. Dopo colazione (una ricca colazione, con di tutto e di più) ognuno può organizzare la sua giornata come meglio crede. Io decido di giocarmi il bonus benessere nel pomeriggio prenotandomi per un Dushi Aloe massage e un trattamento viso. Dedicherò la mattinata alla spiaggia, con una pausa in piscina per la lezione di acquagym.

Non conosco il programma dei miei compagni di viaggio, magari ci si incontrerà. La struttura è abbastanza grande, ma non tanto da perdersi di vista. Di sicuro ci ritroveremo in serata. Questa sera ceneremo in hotel presso il ristorante Carte Blanche, perché a seguire avremo la possibilità di assistere alla proiezione di un film nell’originale, quanto romantico (se solo avessi di che romanticare) cinema all’aperto allestito in riva al mare.

Mi preparo quindi per la giornata e predispongo il mio kit spiaggia che include, oltre al costume che indosso (intero, nero e molto contenitivo nella zone in cui serve contenere), pareo nero con piccoli fiori bianchi con su scritto Aloha, che fa molto Hawaii ma che ho comprato al mercato dai cinesi; cappello di paglia con larghe falde modello Meryl Streep ne La mia Africa; occhiali da sole neri, belli grandi come si usano, che mi fanno molto Zeta la formica; ciabatte nere con zeppa alta alta, devo pur rimediare laddove la natura ha un po’ lesinato; borsa mare, anche questa nera, con dentro: crema solare protezione 30 per il viso, crema solare protezione 20 per il busto, crema solare protezione 8 per le gambe che sviluppano melanina a rilento, crema dopo sole, bomboletta d’acqua termale da vaporizzare e per rinfrescare, cuscinetto gonfiabile, telefono, libro e ovviamente tutte le cose di prima necessità come da mio bagaglio a mano alla partenza. Prendo su anche il mio telo mare in microfibra. Rinuncio alla scorta d’acqua, ma solo perché in spiaggia c’è il bar e le consumazioni sono incluse nel pacchetto. Penso d’aver preso tutto quello che mi occorre, se poi dovesse mancarmi qualcosa, faccio in tempo a tornare in camera, la spiaggia è lì, a soli 50 metri.

Prima d’uscire mi guardo allo specchio. Tutta nera e carica come uno sherpa. Se non fosse per il cappellino tinta paglia, sembrerei proprio una baboia panatéra (per i non piemontesi: lo scarafaggino nero che vive nella farina), uno Zorro in sedicinoni. Ma si sa, il nero sfina, non quanto photoshop, ma un po’ aiuta, soprattutto al buio nella nebbia d’inverno. Forse qui, in una splendida giornata di sole ai Caraibi, non tanto.

Basta, non perder tempo e affronta con coraggio questo primo giorno di mare, fitness e coccole.

Raggiungo la spiaggia. La luce è abbagliante e tutto è chiarissimo. Non fa caldissimo, una leggera brezza fa svolazzare il  pareo scoprendo maliziosamente i miei 25 centimetri di tibia che digradano in una tonica caviglia quasi a canna da stufa (se mai incontrerò un fumista, non potrà resistermi). Sfarfallano anche le larghe falde del mio cappello. Arranco un po’, la borsa pesa e le infradito modello  Creatura di Frankenstein sono poco stabili.  I lettini dall’aspetto molto comodo e gli ombrelloni di paglia sono ben distanziati tra loro. Alcuni sono già occupati e mentre sono lì a cercare il miglior posto per metter giù il mio campo base, sento una voce alle mie spalle.

“Ciao cara, ben arrivata”

Mi volto e vedo due sagome slanciate che si stagliano controsole. Sono Andrea e Enzo avvolti in morbidi, blusanti e candidi completi di lino bianco

“Oh, ciao, grazie. Che bello qui, vero?”, ma perché mi sono vestita come Batman? Mi sento come un punto nero sul viso porcellanato di Nicole Kidman: inopportuno, fuori luogo, infelice e solo.

“Si stupendo, abbiamo fatto una bella passeggiata, adesso ci tuffiamo. Ti unisci a noi? In acqua ci sono già Carla con Lucia e Mariaelena, sono laggiù” indicandomi tre persone lontanissime.

“Si certo, grazie. Il tempo di trovare sistemazione e arrivo”. Ma quanto sono lontane, io non penso di avere abbastanza fiato per arrivare fin laggiù. Che faccio? Se mi butto adesso, si accorgono che ho la paranoia del non ritorno. Aspetterò che si stanchino un po’ e tornino verso riva. Tergiverso col cellulare (tanto c’è il wi-fi anche qui sotto l’ombrellone), mi ordino un drink a base di frutta e fumo una sigaretta. Certo che esorcizzare la paura del fiato corto con una sigaretta non è proprio il massimo della coerenza, però non ho altra scelta.

Oddio la Carla si è accorta di me, la vedo sbracciare ed emergere dall’acqua come un delfino  “ehi, vieni, è bellissimo” mi giunge la sua vocina stridula lontana. E non urlare, che ti sentono tutti e questo è un posto di quiete! Non ci sono bambini mica perché non hanno il latte.

Mostro il telefono, il bicchiere e la sigaretta e faccio cenno di aver pazienza. Devo tener botta  ancora per un’ora,  fino all’inizio della lezione in piscina. Non ho tanta resistenza e, conoscendo i miei limiti, non azzardo mai in mare, ho paura di far brutta figura. Di acquagym, invece, sono cintura nera.

Dieci minuti, quindici…. non ce la faccio più, ad un mare così non posso resistere! Qualcuno mi salverà.

Splash!

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